Reportages 2005 - Buona lettura

 

La Ruzzola del Formaggio di Pontelandolfo

 

di Monica Nardone

  A partire dal 17 gennaio fino al giorno di Carnevale, il paese sannita di Pontelandolfo si anima di un vivace gioco chiamato “La Ruzzola del Formaggio”. Le sue origini sono antichissime. Una leggenda, infatti, narra che a Pontelandolfo un ricco barone, amante del gioco, una domenica di carnevale giocò a tressette con un suo lavorante di nome Pasquale che quel giorno ebbe molta fortuna. Il gioco durò tutta la notte e alle prime luci dell’alba il barone aveva perso due masserie e un campo di erba medica. Ma le vacche del barone, per abitudine, continuarono a pascolare nel terreno appartenuto al loro padrone. Nacque la contesa: una notte il barone come affronto appese alla finestra della casa di Pasquale una pezza di formaggio. L’uomo non gradì il gesto e sfidò il suo ex padrone. Lo invitò a giocare con la forma di formaggio, il giocò durò tutta la notte e la tradizione vuole che quella sfida non terminerà mai e che, durante tutto il periodo di Carnevale, il barone e Pasquale continuino a giocare la loro partita. 
   Il gioco della “Ruzzola” consiste nel lanciare forme di formaggio di varia pezzatura, che in passato erano prodotte nelle campagne circostanti Pontelandolfo e raggiungevano i tre chili, oggi invece si gioca con forme che vanno dai sei fino a un massimo di trenta chili. In campo scendono due squadre ma a volte anche tre, generalmente composte da due giocatori. Capite spesso, quindi, di vedere squadre che scendono e altre che salgono lungo il percorso. L’oggetto della vittoria era fino a qualche anno fa il formaggio stesso, ma oggi in palio ci sono altri tipi di premi che, la squadra vincitrice, può dividere con i propri soci sostenitori. Il percorso è prestabilito: all’andata la partenza è segnata dalla fontana in Piazza Roma fino a raggiungere il fabbricato di San Rocco. Al ritorno invece il percorso inizia dalla chiesa di San Rocco, poi si percorre il Viale dell’Impero fino a raggiungere il fabbricato De Angelis.
   Di solito ogni squadra ingaggia un allenatore (un giocatore di vecchia data che si è distinto per particolare maestrìa) che ha il compito di avvolgere la zaàglia (una corda composta da più fili di spago) sulla pezza di formaggio e assistere il lanciatore curando gli aspetti tecnici del tiro. La gara si svolge in due manche, aggiudicarsene una vuol dire raggiungere il punto terminale con il minor numero di lanci, vince la squadra che le conquista entrambe.

 L'INTERVISTA

  “Per me il carnevale è legato al gioco della “Ruzzola del formaggio”, è una sensazione che risale alla mia infanzia a Pontelandolfo ”. Così, Bernardo Boccaccino, titolare dell’agenzia di viaggi Savia di Benevento, comincia il suo racconto su questo elemento che caratterizza la storia del suo paese natale. “Ricordo l’attesa del gioco e il suono che accompagnava la corsa della forma di formaggio tra i vicoli e le strade del paese – continua ancora – noi bambini allora, incoraggiavamo i giocatori gridando: lè, lè, lè ,lè”. Il grido dei più piccoli era poi seguito dalle corse per afferrare le scaglie che il formaggio lasciava sulla strada dopo aver terminato la sua ruzzolata con uno schianto contro un muro o contro una porta. E infatti Boccaccino narra anche di incidenti particolari. “Spesso è accaduto che qualcuno del pubblico sia stato colpito involontariamente dal formaggio e si sia spezzato una gamba”. E succede anche che a farne le spese sia la fiancata di qualche macchina parcheggiata lungo il percorso. Ma tutti sanno che questo tipo di inconvenienti fanno parte del gioco ed è difficile che vi siano proteste per i risarcimenti. Un tempo si registrava la presenza massiccia delle contrade: “I giocatori più forti erano prevalentemente quelli provenienti dalle zone montane” – continua Boccaccino. “Ricordo delle mani enormi, deformate dal lavoro, mani che adesso non si vedono più”. Ma quello della “Ruzzola” è soprattutto un gioco di strategia. “Ci sono i veterani che fanno da guida agli sfidanti, insegnano principalmente ad inzavagliare la cinghia intorno alla mano”. Soprattutto in passato, il momento della gara, era innanzitutto l’occasione di aggregarsi. “Principalmente per i maschi - racconta ancora Boccaccino – si cominciava già da dopo pranzo, quando gruppetti di uomini giocavano a tressette nei bar e poi si riunivano intorno alle squadre”. Poi magari di sera si continuava a stare insieme, con feste organizzate nelle contrade oppure cenando davanti ad un camino acceso. Adesso il gioco è l’occasione per dare vigore alle tradizioni di Pontelandolfo e lasciare sempre vivo il sapore del passato, specialmente per chi è andato via dal paese. “Di recente – conclude Boccaccino – si sono formate squadre con persone che sono emigrate negli Stati Uniti e che solitamente vengono qui a trascorrere le feste”.

 

  Reportages